La Terra è una piccola città con molti Quartieri in un grande Universo.

Montegridolfo

Maria Alberti

Se un giorno mi doveste cercare e non trovarmi… venite a Montegridolfo, forse mi sarò fermata qui.

È fra i borghi più belli d’Italia, eppure penso che molti non lo conoscano. Partendo da Borgo Maggiore della Repubblica di San Marino, poco più di trenta chilometri nell’entroterra di Rimini, per un percorso di curve e tornanti, ci domandiamo: Ma chi ci ha portato qui?

Quando giungiamo sulla piazzetta, ai piedi del centro storico, la risposta già la conosco: è quell’istinto che ti conduce sempre nei posti che ti somigliano.

Forse abbiamo davvero vissuto altre vite precedenti ed oggi sono solo tornata a casa.

È stato uno dei castelli che doveva garantire la difesa della Signoria dei Malatesta; era ed è ancora oggi posto a guardia del crinale che divide la Valle del Conca sul versante romagnolo, dalla Valle del Foglia sul versante marchigiano.

Il borgo è racchiuso da alte mura, con l’accesso protetto da una torre con porta d’epoca medioevale – risale al 1500 – sulla quale sono tutt’oggi evidenti i segni del ponte levatoio.

Superato l’ingresso mi ritrovo immersa in un tempo sospeso, dove tutto ciò che ho vissuto fino ad oggi d’improvviso è talmente lontano da apparire un ricordo sfumato.

Fermo l’autovettura sulla piazza centrale. Le case sono ad uno, massimo due piani fuori terra; le facciate in mattoni a vista. Le strade, più che vere e proprie vie, sono brevi vicoli che s’intrecciano e girano tutt’attorno al borgo, rigorosamente in san pietrini. La prima abitazione che incontro sulla sinistra ha la finestra aperta e s’intravede una cucina di dimensioni piuttosto ridotte, dirimpetto un’altra finestra che dà sulla strada parallela; la donna che spadella ai fornelli può tranquillamente conversare con le persone che passeggiano su entrambe le strade. Mi saluta; ricambio. Molte abitazioni e locande sono disabitate.

Pochi passi più avanti ci affacciamo su un’altra piazzetta, questa molto più piccola. Mentre m’avvicino per fotografare una struttura interamente in legno a forma d’albero, incontro una piccola donna con un abito azzurro a fiori, proviene dalla direzione opposta; non perde occasione per promuovere l’opera: È bellissimo, è stato interamente costruito dagli artigiani di Montegridolfo! Annuisco e le sorrido, soprattutto per l’immediata cordialità: è evidente che in questo piccolo borgo si conoscono tutti ed io sono un’estranea che s’intrufola nella loro quotidianità, ma non mi guardano affatto con sospetto.

Si respira una magica tranquillità, accompagnata dal chiacchiericcio delle cicale. Passeggiando incontriamo la Bottega del Dottore. Immagino come sarebbe vivere qui, creare con un gruppo di amici una piccola comunità completamente autonoma, un gruppo di botteghe ove ognuno svolge il suo mestiere: il fornaio, il dottore, l’ortolano, la trattoria, il macellaio e il pescivendolo, il lattaio. Un piccolo sportello bancario e uno studio per il disbrigo delle pratiche e delle comunicazioni. I bottegai andrebbero nel paese sottostante per rifornirsi delle materie prime. Si potrebbe vivere benissimo dei prodotti e servizi locali. Il benzinaio non necessita, il borgo s’attraversa con pochi passi. Solo qualche veicolo elettrico per lo spostamento delle merci e poco più. Il meccanico del borgo potrebbe riparare sia i veicoli elettrici sia le attrezzature. Sarebbe superfluo un tribunale, eventuali diatribe si risolverebbero riunendosi alla sera nella piazza centrale, mentre si sorseggia un bicchiere di Sangiovese.

Nel vicolo centrale è posteggiato un risciò… un gatto si riposa all’ombra sul cruscotto e mentre lo fotografo mi guarda senza scomporsi.

Al termine della strada si svolta a sinistra ed ha inizio un caratteristico viale, terrazza che s’affaccia sul panorama mozzafiato. A metà viale, una nuova piazza abitata da un immenso albero, questo reale. Qui non sei un numero, ogni persona ha un’identità precisa che tutti conoscono. A Montegridolfo persino le numerose panchine hanno un nome: la panchina dell’alba, del tramonto, del viandante, dell’artista, del poeta, degli incontri, amici, innamorati, delle chiacchiere, dei sogni e dei ricordi… Tutte rigorosamente in legno e con eguale forma. Regna un ordine che non è per nulla monotono, bensì un dolce equilibrio di forme e colori.

Alla fine del viale si ritorna sulla piazza centrale, dal lato opposto. Un uomo si riposa su una sedia sdraio davanti ad una porta in legno abbracciata da un melo carico di frutti. Nel dehor del bar trattoria due ragazze sorseggiano una bibita sotto l’ombrellone, ammirando la valle sottostante.

Potremmo, in questo ampio spiazzo centrale, organizzare ogni sera un incontro: parole e musica, presentazioni di autori, libri, concerti, premiazione di concorsi… Ma forse tutto questo è già avvenuto… accatastate su un lato le nostre sedie che hanno riempito la piazza.

Se un giorno non mi doveste trovare, cercatemi qui: forse mi sarò fermata in questo tempo dove tutto È VITA.

Uscendo dalla porta centrale, siamo catapultati nel tempo presente e man mano che l’autovettura ci allontana mi viene il tremendo dubbio se vivendo qui, l’uomo non tornerebbe man mano a sognare l’evoluzione, auto che corrono veloci, la rincorsa all’ultima offerta in grandi magazzini ove si perde ogni sapore. Se un giorno qualcuno non si sveglierebbe con l’idea di essere più astuto dell’altro e rinascerebbero ancora invidie, rancori, soprusi. Se su quella piazza un giorno non si alzerebbe una voce ad annunciare che oltre il mondo è molto più ampio e i nostri occhi non saprebbero più vedere che il tutto è qui: mare, montagne, colline, valle, prati, vicoli e abitazioni, uomini e idee.
Più ci allontaniamo e più il dubbio si fa convinzione che l’UOMO tornerebbe ad inventare un NUOVO MONDO PER NULLA A MISURA D’UOMO.

Ma tutto ciò forse è solo un brutto incubo dal quale un giorno mi sveglierò… e allora tornerò a vivere qui, tornerò a casa.

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