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La Pasqua a Pianola

Stefano Carnicelli

Orazio Totani è un dinamico signore del 1934. È nato e vive a Pianola (piccola frazione di L’Aquila). E un imprenditore in pensione e cura tante passioni. È impegnato anche nel sociale. Mi ha coinvolto nella realizzazione di un piccolo libricino contenente proverbi e detti popolari. In particolare, ho curato la narrazione riguardante i suoi ricordi della Pasqua di molti anni fa. Mi ha dato appunti e abbiamo dialogato diverse volte per curare i vari dettagli. Con questo spirito, le parole contenute nel libricino vogliono rappresentare una testimonianza, un passaggio di consegne, tra passato, presente e futuro. Facendo leva sui ricordi delle antiche tradizioni, abbiamo pensato di riportare in vita un bel passato evitandone l’oblio. L’intenzione è di rompere un silenzio coperto dalla coltre degli anni. È come ripulire un mobile dalla polvere per restituirgli la dignità di un’antica e mai perduta bellezza. Di seguito, alcuni estratti del nostro lavoro. Leggendo qua e là si percepisce la voce di Orazio che narra in prima persona.


Come primo passo, troviamo una collocazione storica. Parliamo dei primi cinquant’anni del secolo scorso; un periodo che ha deciso i destini del mondo, con le sue due guerre mondiali. La comunità interessata occupa il territorio di Pianola (zona centrale) e delle Vasche (zone limitrofe), in prossimità di L’Aquila. Il benessere dell’epoca era un qualcosa d’inesistente se paragonato ai tempi moderni. In ogni caso si conduceva una vita dignitosa fatta di lavoro e sacrifici.

Tra le persone esisteva un forte legame, anche grazie a una costante vicinanza. Erano poche le occasioni per spostarsi e, pertanto, si viveva intensamente la vita della comunità. Fisicamente parlando, ci sentivamo più vicini. Spostandoci ai nostri giorni, si potrebbe dire che oggi basta un click per essere vicini ma questo semplice gesto, a volte, può diventare fonte di distacco. Dialoghiamo agevolmente con messaggi e faccine ma dimentichiamo il suono della voce, l’espressione degli occhi, la dolcezza di un sorriso… quello vero.

Tutto iniziava con le Ceneri. Era l’avvio della Quaresima; un periodo importante di preparazione alla Pasqua. La comunità viveva intensamente queste settimane. Il consumo di cibo, in qualche modo già scarso, veniva ridotto. Alcune donne, addirittura, osservavano, per quaranta giorni, una sorta di digiuno, mangiando solo pane e acqua: una forma di profondo rispetto religioso.

Sin dai primi giorni della Quaresima si mettevano da parte le uova necessarie per la preparazione della Pasqua. Non erano molte le famiglie che avevano un pollaio. Nella zona di Pianola, il paese arroccato non favoriva la presenza di stalle e pollai. Nei territori delle Vasche, invece, gli spazi erano più ampi e c’erano alcuni casali. In questa zona era più facile trovare pollai, stalle e aie.

Nella Domenica delle Palme si svolgeva la benedizione dei ramoscelli. Il tutto avveniva fuori dalla Chiesa e poi si procedeva con la distribuzione ai fedeli che occupavano i banchi. C’era una grande partecipazione. Per la festa, al posto dei fiori, si abbelliva l’altare con i rami di ulivo… quelli più belli. Le persone si salutavano con grande gioia e il reciproco rispetto imponeva lo scambio dei ramoscelli. Dopo il pranzo, le persone si recavano al cimitero per porre, sulle tombe dei propri cari, il ramo d’ulivo.

I rametti si portavano anche nelle terre coltivate, per chi ne aveva. Si mettevano sui carri e carretti, persino nei collari e tra i finimenti degli animali. Il ramoscello si portava ai parenti e alle persone malate: era un’occasione per una visita gradita. Questa bellissima tradizione conteneva in sé una grande forza evocativa. Era più di un fiore. Rappresentava la pace, la speranza, affinché tutto andasse bene. Tutta la popolazione si sentiva più unita e ben ispirata dal simbolo del ramoscello di ulivo.

Anche nelle scuole elementari ci si preparava per accogliere le festività pasquali. Una classe era stata allestita in una baracca di legno costruita dopo il terremoto del 1915. Le altre due classi si trovavano nella zona della Mausonia. La quarta e quinta elementare, invece, si trovavano a Sant’Elia e a L’Aquila. Non era facile frequentare la scuola, soprattutto per il freddo nei lunghi mesi invernali. Le scuole erano prive di luce, riscaldamento e servizi igienici. 

A ridosso della Pasqua, circa quindici giorni prima, venivano avviate le pulizie pasquali. Questa tradizione è tuttora molto sentita ma in quegli anni assumeva un ruolo davvero importante, al punto da mobilitare l’intera comunità. A circa duecento metri dall’attuale rotonda Totani-Mausonia, direzione L’Aquila, c’era una cava dove venivano prelevati i materiali per fabbricare i mattoni.

In quei giorni era un vero e proprio spettacolo… un’invasione pacifica, allegra e divertente. I giovani del posto, in prevalenza ragazzi e ragazze, scendevano dal paese per recarsi alla cava. Con loro portavano pentole, fazzoletti e altri recipienti utili per prendere la sabbia della cava. Era una sabbia pulita e raffinata, sembrava sabbia di mare. Tornati a casa, la sabbia era utilizzata per pulire tutti gli oggetti, in prevalenza di rame. È così che conche, pentole, padelle e mestoli tornavano agli antichi splendori.

Nel periodo pasquale, le mamme e le nonne avevano un ruolo fondamentale: non c’erano molte disponibilità ma si attivavano per assicurare a figli e nipoti dei piccoli doni. Chi poteva si recava in città per acquistare vestiti, scarpe e sandali in previsione della bella stagione. Era l’occasione per sfoggiare qualcosa di nuovo per la festa. Si spendeva poco e gli acquisti, seppur dignitosi, non potevano riguardare prodotti di qualità. Molto spesso questi regali non venivano nemmeno indossati per Pasqua perché il tempo non era dei migliori. Le temperature, spesso invernali, spegnevano gli entusiasmi dei ragazzi; dovevano aspettare il caldo per indossare scarpe e vestiti nuovi.

Si viveva con poco. Ci si accontentava. Il bello della natura umana stava in questi gesti dignitosi di vita vissuta. C’erano fermento e voglia di vivere. In qualche modo dominava l’ottimismo. Durante il periodo della Quaresima, la Chiesa era aperta tutte le sere. C’era una bella frequentazione per la celebrazione della Benedizione; un luogo d’incontro per bambini, ragazzi e adulti. Ricordo che ogni Venerdì di Quaresima si svolgeva la Via Crucis.

In questo periodo molte persone sentivano il bisogno di disobbligarsi nei confronti di personaggi influenti da cui avevano ricevuto una buona azione o un favore. Chi non si era rivolto a un medico per una cura? Chi non aveva chiesto un consiglio a un uomo di legge? Era solito, quindi, preparare dei doni per gli auguri e mostrare una sentita riconoscenza.

Erano doni modesti, sicuramente graditi, provenienti dalla terra e dall’onesto lavoro di tutti i giorni: un salame del maiale allevato l’anno precedente, farina, un fiasco di vino, uova fresche… In particolare le uova si incartavano, una per una, con carta di giornale. Per il fiasco di vino, era d’obbligo richiedere indietro il vuoto per consentirne futuri utilizzi.

Durante la Settimana Santa, il parroco riceveva aiuti per lo svolgimento delle varie funzioni. Gli impegni erano tanti. Bisognava benedire, confessare, dire messa e altro ancora. In genere arrivavano in due. Li chiamavano Missionari ma in realtà erano dei semplici frati. Ogni sera preparavano sermoni, canti e preghiere da proporre negli incontri con i fedeli. Si rendevano sempre disponibili anche per celebrare il sacramento della penitenza. Sin dal giorno delle Ceneri, la popolazione era invitata al solenne rito della confessione.

Insieme ai missionari c’erano i Procuratori del Santissimo. Accompagnavano il parroco per le benedizioni “porta a porta”. Visitavano ogni abitazione e, attraverso l’imposizione delle mani, invocavano il favore di Dio. Davano l’acqua santa e, nei cesti che portavano al seguito, raccoglievano le offerte rappresentate da uova, salami, farina e, raramente, qualche spicciolo. La gente era povera ma generosa. Ricordo i nomi di questi grandi personaggi che chiamavano Procuratore del Santissimo: Zì Pippino degliu Liò, Zì Romualdo de Giggio, Zì Amatuccio de Andrea, Zì Domenico de Felice.

Il Giovedì Santo iniziava il rito dei Sepolcri. Era come entrare nel lutto. Fino al giorno della Resurrezione vigeva il silenzio e non si poteva cantare, ridere, fare schiamazzi. Le campane non potevano essere suonate perché “legate”. La Chiesa in segno di rispetto e cordoglio dimenticava le luci e gli arredi. C’era una quiete di fondo che poteva essere interrotta solo dal suono legnoso delle ntroccanelle.  

Una delle tradizioni più belle, tuttora in uso, era quella delle pizze di Pasqua. Oggi si fanno a casa, grazie a forni moderni e attrezzati. Una volta non era così. Occorreva programmare per tempo tutta l’attività. I forni a disposizione erano pochi: a Pianola c’era quello comunale mentre gli altri si trovavano sparsi nelle zone delle Vasche. Le famiglie prenotavano giorno e orario in cui il forno poteva essere disponibile.

Ognuno portava un po’ di legna e le fascine per il fuoco. Le procurava in anticipo in modo da poter incastrare e rispettare i vari turni per la cottura. All’ora stabilita si portavano le pizze per essere infornate. Il forno era caldo e pronto; veniva costantemente alimentato dalla legna portata in precedenza. Si attendeva qualche ora e poi si tornava per ritirare le pizze.

Vi lascio immaginare il clima meraviglioso di questa frenetica attività. Tutta la comunità si mobilitava; per le vie del paese era un continuo andirivieni di bambini, ragazzi, donne, nessuno escluso. La gioia era palpabile e trascinante. I profumi delle pizze invadevano le strade ed era legittima la voglia di voler assaggiare quelle prelibatezze. I ragazzi, soprattutto, sognavano di gustarle ma non era possibile prima della Pasqua. Ci si accontentava di qualche briciola e delle crosticine recuperate qua e là.

Questi forni erano privati ma si rendevano disponibili, gratuitamente, all’intera popolazione. La tradizione delle pizze di Pasqua ha sempre favorito una grande aggregazione della comunità, un modo per stare insieme, per condividere valori e belle usanze. Nella settimana di Pasqua, i lavori nei forni iniziavano alle quattro del mattino e proseguivano fino alla mezzanotte.

Il clima emotivo era allegro e ricco di entusiasmo. Tuttavia c’era chi restava al di fuori di questa tradizione. Le famiglie più povere non avevano pizze da cuocere; a loro non interessava prenotare i forni per l’assegnazione dei tempi per la cottura. La comunità non poteva non rispondere con gesti di grande solidarietà. È vero: non avevamo ricchezze da esporre o da mostrare; esisteva il cuore, però, il reciproco sostegno, lo spirito di fratellanza.

In genere rispondevano tutti a quest’appello di solidarietà. Non c’era bisogno di essere chiamati; chi poteva, si privava volentieri di un pezzo di pizza, di qualche salame, di un po’ di uova e ne faceva dono a chi non ne aveva. C’era una grande dignità in questi gesti. Non era elemosina bensì un modo per condividere.

Per tradizione era assolutamente vietato assaggiare tutto questo ben di Dio prima della Pasqua. Pizze, torte, dolci e altro, dovevano restare intatti fino alla domenica. Si può ben capire la fatica… come si poteva stare lontani dall’ottimo cibo preparato? Il problema era soprattutto dei ragazzi che avevano fame e voglia di mangiare queste delizie. Di nascosto, quindi, quando nessuno li vedeva, cercavano di staccare qualche crosticina mantenendo intatta la torta o la pizza. Non si potevano lasciare segni evidenti che ogni donna di casa avrebbe scoperto immediatamente.

Il Venerdì Santo si svolgeva la Via Crucis conclusiva; l’atto finale di altre funzioni celebrate nei venerdì di Quaresima. Il rito era molto partecipato e si seguivano le varie tappe lungo il percorso prestabilito. Si percepivano commozione e rispetto; la pietà popolare rivolta al Cristo sofferente. Un cammino doloroso verso la luce della Resurrezione. I canti e le preghiere accompagnavano ognuna delle varie stazioni, fino al momento culminante.

Nel Sabato Santo, il pomeriggio, ci si ritrovava per la benedizione delle pizze di Pasqua e delle uova lesse che le donne portavano all’interno dei piattini. Era anche per questo motivo che le pizze dovevano arrivare intere. Non potevano essere toccate se non dopo essere state benedette.

Nei giorni che precedevano la Pasqua, per i casali delle Vasche giravano i guardiani e gli stradaioli comunali. Le loro visite erano mosse da piccole scuse che ne giustificavano la presenza. Ad esempio, si preoccupavano del controllo dei numeri civici, del taglio e della sistemazione delle siepi, della pulizia delle strade. Grazie e questi semplici e dignitosi motivi, riuscivano a farsi omaggiare dalla gente. Ricevevano uova, salami, pancetta e qualche bottiglia di vino.

Finalmente la Pasqua! La domenica mattina non poteva mancare la tradizionale colazione. Si tagliavano le pizze e si mangiavano le uova lesse. Ora si poteva procedere perché tutto era stato benedetto il giorno prima. Si affettavano il salame e la salsiccia e qualcuno preparava la frittata con la mentuccia. La colazione di Pasqua rendeva felici tutti e, in modo particolare, i ragazzi che avevano lottato contro la tentazione di affondare i denti nelle delizie pasquali. Un buon bicchiere di vino accompagnava adeguatamente la colazione.

Dopo la colazione, la comunità partecipava alla Messa di Pasqua. Si indossava il vestito buono. Chi poteva, sfoggiava l’abito nuovo. Erano momenti molto sentiti in cui regnava tanta allegria. Le persone si scambiavano gli auguri attraverso il riguardoso gesto della stretta di mano.

Tra i compari, era d’obbligo Il San Giovanni… oltre alla stretta di mano, ci si toglieva il cappello in segno di profondo rispetto. La Pasqua rappresentava uno di quei momenti utili e necessari per consolidare i rapporti umani all’interno della comunità.

Un’altra bella tradizione consisteva nella preparazione delle uova sode colorate. Erano dipinte utilizzando la fuliggine o altri colori ricavati dalle erbe. Alcune erano dipinte molto bene grazie all’abile e felice mano di qualche persona. Le uova, preparate in questo modo, si utilizzano per delle vere e proprie gare. Si facevano rotolare in alcuni percorsi per vedere quella più veloce. Si usavano anche nella Scoccetta; si battevano le uova per vedere quelle più dure e resistenti.

Il pranzo di Pasqua si faceva rigorosamente in casa. Non era costume, anche per un fatto di disponibilità, fare il pranzo nei ristoranti. Nel caso, la Pasqua era un’ottima occasione per riunire le famiglie intorno ad una grande e gioiosa tavolata.

Il lunedì di Pasqua ci si preparava per la scampagnata ma, prima dell’agognato divertimento, occorreva rispettare gli impegni. Chi era occupato negli orti, nei campi o doveva accudire gli animali, sin dalle prime luci dell’alba, entrava in azione in modo da terminare subito i lavori per essere libero nella tarda mattinata. Le scampagnate si facevano a Roio e si portavano gli avanzi del pranzo della domenica e le altre prelibatezze preparate per la Pasqua.

Il martedì di Pasqua, infine, ci si organizzava per andare a Paganica per la festività della Madonna D’Appari; in quel giorno c’era anche la fiera. Si partiva tutti insieme, in gruppo e si percorreva la strada a piedi. Si stava ancora insieme, in allegria per quella nuova festa che, in qualche modo, allungava la Pasqua. Terminava, così, la settimana Santa… sicuramente uno dei periodi più belli dell’anno. L’intera comunità, però, restava vivace e con quel costante fermento che è tipico di chi attende altre feste e nuovi eventi da vivere.


Questo lavoro è stato stampato nel mese di marzo del 2021, in piena emergenza Covid. Vuole essere un simbolo importante per la comunità. Per questo motivo, Orazio Totani lo ha realizzato “gratis et amore dei” e senza altro scopo che non sia quello di omaggiare, con un dono che arriva dal cuore, tutti i parrocchiani, gli amici e chi vorrà avvicinarsi alle belle tradizioni.

Diverse persone, però, hanno voluto dare alcuni contributi. Lo hanno fatto presso la Caritas di Pianola che provvederà a convertire le offerte in beni di prima necessità da destinare alle famiglie bisognose.

Note sugli autori

Orazio Totani è nato nel 1934 a Pianola, dove tuttora vive e risiede. La sua è stata, ed è, una vita intensa. Sin da giovanissimo si è occupato di agricoltura e allevamento. Con la sua trebbiatrice ha operato in tutto il circondario. In seguito ha avviato la sua attività di commerciante. Ha iniziato con le macchine agricole per approdare poi alla vendita delle auto e dei fuoristrada. L’attività prosegue grazie ai figli Tito e Silvio. Da sempre Orazio è impegnato nel sociale: Presidente della onlus Amore per chi soffre di Pianola, Presidente degli Amici di Sant’Agnese di Pianola, Presidente dell’Azione Cattolica di Pianola. Èstato il fondatore della locale squadra di calcio e promotore della realizzazione del campo sportivo.

Stefano Carnicelli è nato nel 1966. È originario di Tornimparte. Laureato in Economia e Commercio, è Direttore di una filiale di un Istituto di Credito. Ama lo sport e la montagna. Da sempre nutre la passione per la lettura e la scrittura. Ha pubblicato tre romanzi: Il cielo capovolto (Prospettiva Editrice, 2011), Il bosco senza tempo (Prospettiva Editrice, 2013) e Parole invisibili (Tralerighe Libri, 2019). Diversi suoi racconti sono stati premiati in alcuni concorsi letterari e pubblicati nelle relative antologie. È Vice Presidente dell’Associazione Artistico Culturale Il cielo capovolto di Torino. Cura rubriche libri su alcuni siti web. Organizza e modera eventi culturali. Sito web: www.stefanocarnicelli.it

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