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Le caffetterie di Torino

Maria Alberti

Secondo una statistica di qualche anno fa, Torino risulta essere la città italiana con più bar e caffetterie per abitante. Questo primato non è casuale.

La tradizione dei caffè come luogo di incontro e di appagamento della gola, a Torino, è molto radicata fin dal 1700; i locali torinesi più antichi sono stati teatro, oltreché di incontri, corteggiamenti e pettegolezzi, anche di importanti dibattiti culturali e di discussioni politiche che hanno concorso a creare la storia d’Italia. Era, infatti, molto più sicuro riunirsi in luogo pubblico, piuttosto che in case private. Buona parte della storia del Risorgimento si scrisse proprio in questi locali fumosi. Nel 1821, dopo i disordini, agli studenti venne proibito l’ingresso.
Se vuoi fare un salto indietro nel tempo e riscoprire le tradizioni, vieni con me in alcuni dei più importanti e golosi locali storici del capoluogo piemontese.

Da piazza Carlo Alberto ci inoltriamo nella Galleria Subalpina ed incontriamo le vetrate di Baratti & Milano. Un elegantissimo ambiente caratterizzato da un ampio uso di specchi, marmi, bronzi, dorature e stucchi che conferiscono al locale un ricco profilo architettonico e artistico. La sua raffinata atmosfera d’antan ci riporta a metà dell’800, quando gli statisti del Regno di Sardegna venivano qui a discutere su come fare l’Italia. Con la coda dell’occhio pare di scorgere ancora, seduto in qualche tavolino appartato, Guido Gozzano, che proprio qui scrisse la sua poesia Le golose, un’ode d’amore alle eleganti signore che venivano a fare merenda e ai loro occhi che si illuminavano felici dopo aver assaporato i pasticcini del locale.
Il vero capolavoro di Baratti & Milano è la cioccolata calda con la panna che viene servita in un bricco a parte. La miscelatura dei due ingredienti è un’arte, un rituale che dev’essere fatto lentamente, poco per volta, assaporato sorso dopo sorso, per raggiungere il sublime.
Tornando indietro nel tempo, oppure fermandolo per un po’, ti racconterò la sua storia.
Ferdinando Baratti ed Edoardo Milano, due confettieri canavesani, nel 1858 approdarono nella città sabauda ed aprirono un laboratorio di confetteria e pasticceria in via Dora Grossa 43, l’attuale via Garibaldi, destinato a divenire uno dei marchi più rinomati dell’industria dolciaria piemontese e italiana. Ferdinando Baratti creò il famoso cremino divenuto poi, con il gianduiotto, uno dei grandi classici fra i cioccolatini italiani.
Dato il crescente successo, nel 1875 si trasferirono in centro, nell’attuale sede. Il locale divenne presto ambito luogo di ritrovo della borghesia e d’intellettuali, come Massimo D’Azeglio, Giovanni Giolitti e Luigi Einaudi.
Nel 1909, il locale venne ampliato su progetto di Giulio Casanova e Pietro Fenoglio; gli interni furono affidati allo scultore Edoardo Rubino. Il risultato fu un elegantissimo ambiente caratterizzato da un ampio uso di specchi, marmi, bronzi, dorature e stucchi che conferiscono tutt’oggi al locale un ricco profilo architettonico e artistico, per i quali il Caffè Baratti & Milano ottenne varie citazioni in ambito letterario e ricercata ambientazione di scene cinematografiche.
Nel 1944 il locale fu fortemente danneggiato dai bombardamenti e riaprì i battenti nel 1948 dopo un attento restauro. Trascorsi una quarantina d’anni, nel 1985, il Ministero dei Beni Culturali ha posto il vincolo di tutela storica sul locale e sugli arredi.
Successivamente il marchio delle celebri caramelle Barattine e il locale passano di proprietà prima al gruppo dolciario veneto Toulà e, nel 2003, al gruppo Novi, che iniziò anche l’ultimo restauro conservativo conclusosi l’anno successivo.

Proseguiamo ora la nostra passeggiata e, attraversata l’intera Galleria, ci ritroviamo sotto i portici di piazza Castello. Nascosto dalle vetrine dei negozi delle grandi catene globalizzate, scorgiamo una piccola nicchia preziosa.
Mulassano è un minuscolo locale. La discrezione sabauda si coniuga male con il marketing, per questo pochi sanno che il tramezzino lo hanno inventato proprio loro, in questo locale, all’inizio del ‘900.
Riuscire a trovare un tavolino libero non è facilissimo ma vale la pena attendere. Il pane è bianco e soffice e le farciture sono varie e fedeli alla tradizione dei grandi classici della cucina piemontese.
Consiglio burro e acciughe: scelta forte ma di pregio.

Piazza della Consolata, più che una piazza, è un salottino: una piccola oasi di pace e di elegante bellezza nel cuore della città.
Al Bicerin è il suo angoletto più intimo e piacevole, con le vetrine fané e i centrini all’uncinetto.
In questo caso non è solo il locale a essere un’istituzione, lo è anche il suo cavallo di battaglia, dal quale prende il nome.
Il bicerìn è una bevanda storica di Torino, servita in un calice di vetro e composta da caffè, cioccolata calda e schiuma di latte. In tanti lo hanno poi imitato, facendone alcune lievi varianti e chiamandolo marocchino; ma la ricetta originale si serve solo qui ed è diverso da qualunque altro posto. Tanto che Alexandre Dumas arrivò a dire che era la cosa che non avrebbe mai dimenticato del suo soggiorno torinese.
Il segreto sta nel far sì che i tre strati di ingredienti non si mescolino fra loro, al fine di giungere gradatamente al palato: prima la morbidezza spumosa della schiuma, poi la forza decisa del caffè, ed infine la dolcezza avvolgente del cioccolato, in una sinfonia unica di sapore.
Si racconta che Camillo Benso Conte di Cavour (liberale, laico e anticlericale) fosse solito attendere qui la famiglia che la domenica partecipava alla liturgia nel Santuario della Consolata, proprio di fronte.

La macchina del tempo ci trasporta un po’ più in là negli anni, in un’epoca più recente, a prendere un caffè in compagnia della borghesia intellettuale torinese di metà ‘900, composta da personaggi come Cesare Pavese e Luigi Einaudi, nella Caffetteria Platti.
Oggi questo locale è anche un po’ museo, perché espone nelle sue vetrine alcuni pezzi unici presi in prestito dal Museo della Marionetta. Sulla soglia ci accoglie il suo cameriere di legno, originario degli anni ’20, che per i torinesi è un simbolo famigliare.

Stratta si affaccia su un altro dei salotti di Torino, ma non uno di quelli intimi e riservati in cui potersi rintanare a leggere, bensì proprio su quello buono, quello che si usa per ricevere gli ospiti più importanti, quello in cui si sfoggia tutta la ricchezza e la bellezza che si ha in casa: piazza San Carlo.
Le vetrine di Stratta sono una festa per gli occhi perché brulicano di colori, sono la loro specialità più famosa: scatole di latta di ogni dimensione che contengono un arcobaleno di caramelle variopinte.
Ma non dimentichiamo nemmeno i Turineis, golosi cioccolatini ripieni di rum e crema di marroni, e i loro marron glacé artigianali, fatti con castagne della Val di Susa, lavorate con un processo che in totale dura novantasei ore. Insomma, dei piccoli capolavori che oggi continuano ad essere fatti esattamente come quando era il Conte di Cavour a considerarle le sue opere d’arte preferite.
Del resto, marron glacé che vince, non si cambia.

Ed infine… il Caffè Fiorio di via Po 8, proprio all’angolo con via Bogino dove, dal 2006 al n° 9 nell’elegante Palazzo Graneri, si trova la sede del Circolo dei Lettori.
Torniamo al Caffè Fiorio che aprì i battenti nel 1780. La Torino di allora contava settantamila abitanti dentro le mura e circa diciottomila nei borghi e nel contado. Questo locale divenne in poco tempo un punto di riferimento della vita sociale cittadina, favorito anche dal periodo di grande splendore che via Po stava attraversando.
Il Caffè Fiorio ebbe le sue glorie letterarie e poté annoverare tra i propri clienti illustri scrittori e grandi artisti.
Nelle sue sale si discusse e, ahimè, si commentò negativamente il libro Gli ultimi casi di Romagna di Massimo d’Azeglio, mentre miglior riscontro ebbe il romanzo storico Ettore Fieramosca. Giovanni Prati compose qui alcune sue poesie; Avalle, il direttore de Il Fischietto, redigeva il famoso foglio satirico nelle sale del caffè di via Po, qui decideva chi mettere alla berlina, senza risparmiare nessuno, Cavour compreso, che abbozzava e aveva l’arguzia di ridere delle satire e delle frecciate rivoltegli. Friedrich Nietzsche ne fu assiduo frequentatore nei suoi trascorsi torinesi. Tomasi di Lampedusa vi scrisse il romanzo La Sirena. Lo scrittore Oddone Beltrami incontrava, almeno tre volte la settimana, un gruppo di amici che sapeva catalizzare la vita culturale cittadina. Ed ancora Alfredo Segre, Claudio Fiorini, il musicista-musicologo-saggista Massimo Bruni.
In tempi più recenti, Giuseppe Culicchia seduto ad uno dei tavolini dello storico Caffè dei Fratelli Fiorio scrisse Tutti giù per terra e in queste sale si girarono anche le scene del film.
La vera specialità del Fiorio è da sempre il suo gelato: una pietra di paragone per gli altri locali torinesi. A renderlo speciale alcune antiche ricette, ma anche alcune innovazioni. C’è n’è una che è stata a lungo un segreto: nel 1945 la guerra volgeva al termine, il latte fresco scarseggiava, così per fronteggiare l’emergenza i Fratelli Fiorio chiesero aiuto ad un cliente speciale, un comandante americano. Pochi giorni dopo, il comandante si presentò con un furgone pieno di latte condensato. Che fare? – si chiesero i fratelli. Provarono a miscelarlo con il poco latte fresco e ne risultò un gelato dalla cremosità insospettata e dal gusto speciale. La clientela lo apprezzò al punto di decretarne l’assoluto successo. Ancor oggi la formula del gelato Fiorio prevede di aggiungere al latte fresco una percentuale di latte condensato.

I gentiluomini dell’Ottocento e della prima metà del Novecento, eleggevano un proprio caffè quale seconda casa. Da allora è trascorso molto tempo, e l’epoca d’oro dei caffè è svanita. A Torino la tradizione, però, non è scomparsa e i Caffè sono ancora numerosi, ben conservati, vitali e vivaci culturalmente.
Enrico Falqui scrisse: un caffè ha e deve conservare qualcosa anche del porto e della stazione, del salotto e del circolo, del ridotto e dello spiazzo, dell’osservatorio e del nascondiglio, del retrobottega e della vetrina. E tutto ciò, nelle Caffetterie torinesi, lo si può trovare.

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Fotografie Caffetterie e Pasticcerie torinesi

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