Siamo nella seconda metà del 1800 nel Piemonte rurale, non quello aristocratico dei Savoia ma quello dove la campagna è il luogo dove si nasce e cresce, il tempo è scandito dalla luce del sole e dal lavoro nei campi.
La consuetudine che fra un paio di secoli chiameranno apericena e faranno a gara i locali più in cittadini, nasce qui. Si chiama marenda sinoira ovvero merenda prima di cena; nel dialetto piemontese infatti la cena si chiama sina.
L’orto di casa sfama l’intera famiglia, il lavoro è pesante e quando il sole inizia a tramontare, verso le 17, ci si concede una pausa rinfrancante: la marenda ant el fassolet (merenda nel fazzoletto) viene portata direttamente nei campi e consumata all’aperto. In un grande tovagliolo viene avvolto pane, formaggio e salame. Lo scopo è quello di dare nuove energie a chi ha lavorato tutto il giorno nei campi, prima di iniziare ad affrontare i compiti serali. La cena sarà così più leggera e veloce prima di coricarsi; le abitazioni non sono ancora fornite di luce elettrica.
La vera marenda sinoira viene allestita nelle case a fine stagione, al termine di una giornata di vendemmia, per festeggiare la fine del raccolto. Si riuniscono tutti i componenti della famiglia insieme agli amici che hanno contribuito a portare a termine il lavoro. L’ospitalità è sinonimo di abbandonanza e vengono preparate diverse portate tra cui salumi e insaccati della zona, toma fresca e stagionata, antipasto piemontese di verdure con aggiunta di tonno o uova sode, sottaceti, polenta arrostita, fragole e pesche al vino. Nei cortili, sotto le tòpie (pergolati), arriva la car crùa (carne cruda in insalata), le acciughe al verde, tomini, pomodori, frittate o anche qualche carpione… pane casareccio e qualche buona bottiglia di Barbera.
In un prossimo futuro la tradizione piemontese verrà recuperata e chiamata apericena, spesso senza conoscerne neppure l’origine e il suo valore culturale e sociale.